Nessun prodotto nel carrello.

1. STORIE DELLA TERRA

BENVENUTI NELLA NOSTRA STORIA

La memoria popolare toscana ci ha tramandato la parola SALCO per indicare il Salice, una pianta ricca di simbologia per tutte le civiltà che si sono avvicendate dall’antichità ad oggi. Per i Celti ad esempio rappresentava una divinità femminile, gli ebrei lo consideravano in grado di propiziare la pioggia mentre per i Greci antichi era l’albero in connessione con l’aldilà per la facilità con cui i rami si rigeneravano una volta spezzati. D’altronde i suoi rami hanno sempre avuto una particolare rilevanza nella quotidianità popolare essendo usato per comporre cesti e sedute e nelle zone vinicole, come la nostra, per legare le viti ai pali. In questa valle ricca di acqua i salici abbondavano e la vita rurale si è insediata lungo il torrente che l’attraversa fin dall’epoca longobarda quando appunto la parola SAL, “casa” in quest’antica lingua, ne influenzerà il nome. Benvenuti a Salcheto, quella che noi amiamo pensare come la casa dei salici, del buon vino e dei buoni pensieri.

SIGNIFICATO E SIMBOLOGIA DEL SALICE

Nella lettura etimologica
Salice = dal latino salix, da una radice selik, solik e
dal greco helike, antico alto tedesco salaha

Il Salice è l’albero della coscienza del bene e del male, l’albero della vita, l’albero che interessa e fonde i tre livelli del vivente (il sotterraneo, il terreno e il celeste), se è riproposto capovolto, rappresenta il mutamento dello spirito nella materia. I suoi rami sono flessibili mentre le sue foglie, strette e lunghe, appaiono di un particolare color verde argento, specialmente nella varietà che è comunemente conosciuta con il nome di Salice Piangente. Una particolarità di quest’albero è quella di produrre frutti che giunti velocemente a maturazione, cadono a terra dando la sensazione che l’albero se ne sia liberato prematuramente. Le prime notizie su questa elegante pianta ci giungono da antichi testi egizi risalenti al II millennio a.C., Ma fu Ippocrate, nel V secolo a.C. A descrivere per la prima volta le sue proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche.

Il termine SALICE ha origini celtiche e il suo significato è “vicino l’acqua”. Il Salice sia dal punto di vista prettamente simbolico che naturale è molto legato all’elemento acqua e alla magia insita in essa.

Per i Celti in particolare e per altri popoli in generale, il Salice era considerato una divinità femminile e il suo culto, legato ai cicli lunari e alla fecondità, ricoprì sempre una grande importanza nel corso dei secoli. Il legno dei Salici era utilizzato per la costruzione di strumenti musicali e con i rami si realizzavano le ceste usate durante i sacri riti per deporre offerte.

Nella Grecia antica il Salice era considerato, per eccellenza, l’albero in connessione con l’aldilà. Questo per via della facilità con cui i rami, una volta spezzati, si rigenerano e ricrescono. Per il popolo ebraico, i Salici erano considerati alberi che avevano il potere di propiziare la pioggia e venivano venerati come tutto ciò che è legato all’acqua. Nell’antica Mesopotamia, i Salici erano utilizzati per lenire stati febbrili e reumatismi. A Roma, invece, erano usati i rami di Salice (vimini) per la manifattura di ceste.

In Britannia il Salice era legato al mondo delle streghe. Secondo una tradizione, intrecciando due rami di salice a formare una croce, si poteva prevedere la propria morte. Se la croce posta su una fonte sacra galleggiava, la morte era vicina, se affondava, il tempo era ancora lontano. Diversamente, nella tradizione cristiana i Salici piangenti assumono il significato di castità e purezza. E secondo una antica leggenda, Gesù, cadendo per l’ennesima volta nel percorso verso il Golgota, si aggrappò ai rami di un Salice per potersi rialzare.

Da allora quest’albero assunse il significato di dolore e lacrime. Nel periodo medievale, si riteneva che, essendo legato alle divinità femminili e alle streghe, avesse il potere di emanare malefici. In oriente, invece, i Salici hanno avuto da sempre un simbolismo positivo. Rappresentavano, infatti, l’immortalità, l’eternità e la spiritualità. Per questo motivo il suo legno è utilizzato per la manifattura di statue, di colonne e di elementi di architettura sacra.

2. MONTEPULCIANO

Monte Pulciano, Montepulciano, già Monte Policiano, Mons Politianus

Città nobile con residenza vescovile, situata sulla sommità di un monte che fa da spartiacque tra la Val di Chiana e l’opposta Val d’Orcia.

Il suo territorio è di 165.58 km2 ed ha una popolazione di circa 14.000 abitanti distribuiti fra il borgo di Montepulciano e le varie frazioni:
Acquaviva, Sant’Albino, Stazione, Abbadia di Montepulciano, Gracciano, Valiano.

UN PO’ DI STORIA

Montepulciano fu abitata già in epoca etrusca, nel momento di potere del mitico lucumone Porsenna (vissuto tra il VI e il V secolo a.C) come testimoniano le eccezionali scoperte archeologica effettuate nella Fortezza medievale nel 2014, che hanno portato alla luce frammenti di antefisse, di tegole e intonaci dipinti, pesi da telaio e oggetti di antica manifattura riferibili a edifici di prestigio o di rappresentanza databili appunto al VI-V secolo a.C.

All’insediamento etrusco e al successivo “castellum” Romano si sostituì una piazzaforte bizantina divenuta con l’occupazione longobarda sede di una “centena”(reparti militari) con a capo un centenario, avente funzione giudiziaria del territorio. In un documento dell’anno 714 compare per la prima volta col nome di “castello Politiano”. Fu proprietà regia o imperiale. In forza delle costituzioni municipali concesse dall’imperatore Ottone I nel sec. X, in Montepulciano si sarebbe stabilito un governo comunale in cui l’assemblea del popolo esercitava il potere legislativo e i due consoli annuali erano coadiuvati da un consiglio detto di “credenza”. Forse le questioni di confino fornirono il pretesto per una guerra contro Siena nel 1108 e verso la metà del sec. XII il castello apparteneva al conte Paltronieri che possedeva i poteri del principe. Nel 1202, avendo Montepulciano compiuto atto di sottomissione a Firenze, Siena si appellò alla dieta dei rappresentanti delle città toscane riunita a San Quirico d’Orcia (1205) che sentenziò a suo favore riconducendo Montepulciano sotto il dominio senese. Due anni dopo è nuovamente occupata dalle milizie fiorentine e, poco dopo, costretta a cercare la protezione di Orvieto contro Siena.

Occupata nell’ottobre 1232 (mura e fortificazioni smantellate), quindi abbandonata e di nuovo ottenuta per intervento di Re Manfredi dopo la vittoria di Montaperti (1261), cade per un breve periodo sotto la protezione di Carlo d’Angiò (1267), poi è governata da un podestà senese secondo i vecchi statuti (1294). Nel 1337 si dà un nuovo statuto rinnovando le clausole del patto di sottomissione a Siena.

Nel periodo senese Montepulciano conosce la tirannia dei nobili Del Pecora i quali sempre in lotta tra di loro porteranno discordia e lotte fratricide tra i membri di questa famiglia che gettano il comune in una profonda crisi finanziaria. Nel 1355 l’imperatore Carlo IV, posti a freno i Del Pecora, li nomina suoi vicari. Insicuri di Siena, questi vi chiamano una guarnigione perugina che si installa nella fortezza e stringono con Perugia un trattato di alleanza (Niccolò) la quale avrà in dono il castello di Valiano e (Jacopo) la supremazia su Montepulciano. Nel 1359 Perugia rinuncia a ogni diritto, per cui i decenni seguenti vedono la città sottoposta ora a Siena e Firenze: a quest’ultima resterà legata dalla prima metà del secolo XV alla costituzione dello Stato mediceo, salvo nuovi accordi con Siena (1495-1511) interrotta dal senese Pandolfo Petrucci che decide di riconsegnare Montepulciano alla signoria fiorentina.

Nel 1561 è elevata a sede vescovile acquisendo titolo di città. Con la morte del granduca Ferdinando I (1609), per testamento viene governata dalla vedova Cristina di Lorena, alla cui scomparsa (1636) torna sotto la diretta giurisdizione granducale.

Dal 1774 incorpora l’attuale frazione di Valiano, già comunità indipendente. Nei primi decenni del secolo XIX condivide le vicende amministrative dei comuni senesi della Valdichiana essendo assegnata per un breve periodo al compartimento aretino. Nel 1848 le competenze dell’intero circondario di Montepulciano vengono trasferite al compartimento di Siena. Dal 1808 al 1927 è sede della sottoprefettura.


UN PO’ DI ATTUALITÀ

Ogni anno nel mese di febbraio in Montepulciano, nell’antica Fortezza, si celebra uno degli eventi più riconosciuti del settore vinicolo: Anteprima del Vino Nobile. Tra la fine di luglio e la prima settimana di agosto vi si tiene il Cantiere Internazionale d’Arte, manifestazione in prevalenza musicale, con spazi teatrali e di arti visive. Per la festa dell’Assunta, sul sagrato del Duomo, rivive nei costumi d’epoca la tradizionale recita del Bruscello una rappresentazione popolare cantata, che dal 1939 è messa in scena in Piazza Grande nei giorni di ferragosto. Il testo, in ottave concatenate, è di argomento leggendario, storico o ispirato a una vicenda comica famigliare.

L’ultima domenica di agosto si tiene il Bravìo delle Botti, è la sfida che si disputa ogni anno a Montepulciano tra le 8 contrade del borgo (Cagnano, Collazzi, Gracciano, Le Coste, Poggiolo, San Donato, Talosa, Voltaia), in onore del santo patrono, San Giovanni Decollato.

Il Bravìo trae le sue origini nel XIV secolo e originariamente, era corso con i cavalli chi arrivava primo si aggiudicava il “Bravium”, che consiste in un panno dipinto recante l’immagine iconografica del patrono di Montepulciano, San Giovanni Decollato, in onore del quale si
disputa ogni anno la manifestazione. Verso la fine del XVII secolo, fu soppresso per motivi di ordine pubblico. La versione attuale risale al 1974 quando un parroco, Don Marcello Del Balio, ebbe l’originale idea di trasformare l’antica corsa di cavalli con la corsa delle botti. E’ una rievocazione storica di una sfida tra le otto contrade cittadine. Le botti, dal peso di circa 80 kg ciascuna, sono spinte e fatte rotolare da due atleti per ciascuna contrada detti “spingitori”, lungo il percorso in salita di circa 1800 metri che si snoda tra le affascinanti vie del centro storico della città poliziana fino all’arrivo situato sul sagrato del Duomo in Piazza Grande.


IL PANORAMA DI MONTEPULCIANO

Il panorama di Montepulciano visto dall’azienda vinicola Salcheto, mostra il profilo della città quasi per intero.

Da qui possiamo ammirare, la conformazione della balza tufacea che comunemente è chiamata “il Sasso”, in altre parole quelle rocce che poggiano su di un banco di tufo misto a calcare e idrato di ferro, su cui Montepulciano ha affondato le fondamenta della Città.

In evidenza in alto a sinistra il profilo della Fortezza (1) di Montepulciano, oggi sede del Consorzio del Vino Nobile ed Enoteca e la sede estiva della Kennesaw University della Georgia (USA), nonché sede di esposizione d’arte.

L’edificio posto appena sotto l’antica Fortezza è la chiesa di Santa Maria dei Servi, (2) fu costruita nel ‘300 è consacrata nel 1319. La facciata presenta un portale a cuspide in stile gotico e nel sottotetto archetti pensili. L’interno barocco è di Andrea Pozzo gesuita architetto e pittore che lasciò molte opere a Montepulciano.

Più spostato a destra è il Campanile quadrangolare della Cattedrale (3) di Santa Maria Assunta, edificata su progetto dell’orvietano Ippolito Scalza tra la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo, sul luogo della preesistente pieve di Santa Maria.

All’interno del Duomo (a tre navate e soffitto a capriate) vi è la parte superstite del Cenotafio Aragazzi a cui lavorò Michelozzo a partire dal 1427 fino al 1436. Scomposto, e perduto nel Settecento, la statua giacente e altri sei pezzi stupendamente scolpiti sono sparsi in vari angoli della chiesa.

Panorama di Montepulciano, Bartolomeo Barbiani, prima metà del secolo XVII.

L’altar maggiore ha, sopra la mensola marmorea, il grandioso polittico dell’Assunzione di Taddeo di Bartolo datato al 1401. Si tratta dell’opera pittorica più importante conservata a Montepulciano. Nella prima cappella a sinistra il gotico fonte battesimale, in marmo, del senese Giovanni d’Agostino (seconda metà del XIV secolo) e il dossale in terracotta invetriata di Andrea della Robbia (XVI secolo). E inoltre una tela raffigurante San Sebastiano di Andrea del Sarto e un piccolo tabernacolo posto su un pilastro della navata di sinistra su fondo oro del senese Sano di Pietro.

La torre merlata che gli sta accanto è quella del Palazzo Comunale, (4) la cui facciata è stata realizzata da Michelozzo Michelozzo nel XV secolo.

In fondo a destra si erge un altro Campanile è quello del complesso chiesastico di San Francesco del XIII secolo (5). La facciata presenta un bel portale a cuspide e trombatura a due colonnine, in stile gotico. La tradizione vuole che dal pèrgamo posto sulla facciata del convento abbia predicato il senese San Bernardino.

Fra gli edifici antistanti la Cattedrale e il Palazzo Comunale, che poggiano sulla prima cinta muraria della Città, c’è il Palazzo Contucci, già appartenente alla famiglia Del Monte, appartenente ad un famigliare di Papa Giulio III. Il palazzo fu realizzato da Antonio da Sangallo il Vecchio nel secolo XVI e completato nella parte superiore, quella in cotto con le finestre a cartella, da Baldassarre Peruzzi. All’interno, al piano nobile, un bel salone affrescato con le magnifiche prospettive di Andrea Pozzo.

3. SOSTENIBILITÀ e BIODIVERSITÀ

CONOSCERE IL MONDO DELLE API

Arnia: cassetta in legno o altro materiale idoneo a contenere una famiglia di api, generalmente costituita da nido, melario, coperchio, tetto, fondo a rete, telaini.

Alveare: arnia contenente una famiglia di api

Favo: costruzione in cera realizzata dalle api atto a contenere miele, polline o larve. Il favo è costituito da celle esagonali (nido d’ape):

Telaio o telaino: cornice in legno atta a contenere un favo. Il telaio serve per estrarre il favo senza danneggiarlo.

Foglio cereo: Foglio di cera d’ape stampato con l’impronta della cella sul quale le api realizzano il favo all’interno del telaino.

Nido: porzione di arnia dove le api raccolgono scorte ed allevano covata (larve)

Melario: porzione di arnia generalmente sovrapposta al nido dove le api accumulano scorte di miele che viene poi asportato dall’uomo senza interferire con l’attività del nido.

Griglia escludi regina: rete con maglie di apposite dimensioni atte ad impedire il passaggio dell’ape regina.

Apiario: insieme di alveari riuniti in un unico luogo.

Sciame: famiglia appena costituitasi con la fuoriuscita di una regina feconda insieme a circa metà della popolazione della famiglia di origine.

Ape regina: ape di sesso femminile con apparato genitale sviluppato e fecondata. L’unica in grado di produrre uova che daranno origine alle api operaie e fuchi. Le api regine nascono da un uovo fecondato con patrimonio genetico diploide, ovvero con i geni del padre e della madre. Sono alimentate per tutta la loro vita con pappa (gelatina) reale secreta dalle api operaie nutrici.

Ape operaia: ape di sesso femminile con apparato genitale latente. Le gonadi delle operaie sono mantenute quiescenti dalla presenza del feromone reale prodotto dalle ghiandole mandibolari dell’ape regina. Le operaie nascono da un uovo fecondato con patrimonio genetico diploide, ovvero con i geni del padre e della madre. Per i primi 3 giorni dalla schiusa dell’uovo si nutrono di pappa reale, poi di miele e polline.

Fuco: ape di sesso maschile. I fuchi sono generalmente liberi di spostarsi da un alveare all’altro. La loro funzione principale è diffondere il patrimonio genetico della madre. Nascono da un uovo aploide, ovvero con il solo patrimonio genetico della madre. I fuchi hanno lo stesso regime alimentare delle operaie.

Varroa destructor: piccolo acaro parassita delle api arrivato dall’asia orientale che può portare alla morte dell’alveare.

Miele di nettare: prodotto dalle api tramite raccolta di nettare dai fiori e poi rielaborato all’interno dell’alveare fino a farlo divenire sostanzialmente stabile ed imputrescibile.

Melata: secrezioni zuccherine di piante o animali raccolta dalle api e poi rielaborata all’interno dell’alveare fino a farla diventare stabile ed imputrescibile.

Nettare: secrezione zuccherina liquida (70/80% di acqua) di fiori che serve per attirare insetti che favoriscono la fecondazione (pronubi)

Polline: grani prodotti dagli organi sessuati maschili (androceo) dei fiori contenenti il patrimonio genetico risultato della meiosi delle cellule della pianta madre. È prodotto in grandi quantità dalle piante in modo che gli insetti possano portarlo da un fiore all’altro e ne possa rimanere a sufficienza per alimentare gli insetti stessi.

Propoli: secrezioni resinose di alcune piante che le api raccolgono, trasportano ed accumulano all’interno dell’alveare. Ha proprietà antibatteriche, antimicotiche ed antiossidanti.


Gennaio – Febbraio

Cosa si vede

Nelle giornate più tiepide con temperatura intorno ai 12/15 °C le api escono per fare voli di purificazione e raccogliere nettare e polline sulle fioriture precoci (nocciolo, carpino, pioppo, salice, alloro…).

Cosa non si vede

L’attività della regina comincia ad aumentare gradualmente.
La covata comincia ad espandersi in maniera significativa.

Cosa si fa

Si controlla che la famiglia stia bene ed abbia scorte sufficienti, altrimenti si interviene aggiungendo telai contenenti miele conservati dall’anno precedente o sciroppi di miele e/o zucchero.

Marzo – Aprile

Cosa si vede

Nelle giornate più tiepide con temperatura intorno ai 12/15 °C le api escono per fare voli di purificazione e raccogliere nettare e polline sulle fioriture precoci (nocciolo, carpino, pioppo, salice, alloro…).

Cosa non si vede

La grande quantità di polline e nettare che i fiori mettono a disposizione delle api stimolano le operaie a sovralimentare l’ape regina che comincia a deporre in maniera copiosa fino ad oltre 1000 uova al giorno, oltre una volta il suo peso corporeo.

Cosa si fa

Si controlla che le regine depongano in maniera regolare ed uniforme e che all’interno dell’alveare siano disponibili miele e polline a sufficienza. Le famiglie più deboli vengono aiutate spostando dalle famiglie più forti miele e covata

Maggio – Giugno

Cosa si vede

La popolazione dell’alveare è aumentata in modo esponenziale e raggiunge ormai le 60/70.000 unità.

Cosa non si vede

La sovralimentazione ed il sovraffollamento dell’alveare fanno capire alle operaie che è il momento di creare una nuova famiglia. Le api si preparano a sciamare, allevano fuchi e regine abbondantemente.

Cosa si fa

Si cerca di controllare la sciamatura assecondando l’istinto dell’insetto a riprodursi. Si aggiungono i primi melari per la raccolta del miele primaverile. Tra il melario ed il nido si mette una griglia escludi regina, affinchè questa non deponga uova nel melario sporcando il miele che se ne ricaverà (odore di covata nel miele).

Luglio

Cosa si vede

I voli diurni sono molto intensi. La popolazione degli alveari si stabilizza intorno alle 60.000 unità.
Sulle porticine si vede ancora abbondante importazione
di polline.

Cosa non si vede

L’attività della regina tende a diminuire e le api accumulano miele dove prima c’erano uova e larve. Il miele viene anche abbondantemente accumulato nel melario appositamente posto sopra il nido.

Cosa si fa

Si controlla che le famiglie siano in salute e le regine siano ancora valide, altrimenti si procede alla sostituzione facendone allevare un’altra alla famiglia. Se l’importazione di miele rimane abbondante si aggiungono altri melari sopra il nido.

Agosto

Cosa si vede

Le api continuano a volare. Sulla porticina non cambia molto ma generalmente l’importazione di polline tende a diminuire un po’

Cosa non si vede

L’attività della regina tende a diminuire sensibilmente fin quasi ad arrestarsi.
Le api cominciano ad accumulare scorte che saranno utilizzate in inverno

Cosa si fa

Si applica la profilassi contro la varroa che va fatta in assenza di covata. Si tolgono i melari perchè le api devono concentrarsi a raccogliere scorte per l’inverno

Settembre- Ottobre

Cosa si vede

Nelle tiepide giornate di fine estate ed inizio autunno le api continuano a raccogliere scorte per l’inverno sulle fioriture tardive, in particolare Inula ed Edera.

Cosa non si vede

L’attività della regina diminuisce fino a mantenere la popolazione stabile a 30/40.000 unità. Sono le api che passeranno l’inverno e che faranno poi ripartire la famiglia in primavera.
I telai laterali sono riempiti di miele e polline.

Cosa si fa

Le operazioni di invernamento consistono nel togliere tutti i melari eventualmente rimasti. Togliere miele in eccesso dai nidi che sarà riutilizzato per alimentare le famiglie che ne avessero bisogno in inverno.

Novembre – Dicembre

Cosa si vede

I voli si interrompono. Soltanto nelle sporadiche e tiepide giornate con temperatura superiore ai 10 °C alcune api escono per purificarsi all’esterno dell’alveare e raccogliere acqua che serve alla sopravvivenza della famiglia.

Cosa non si vede

Le api si riuniscono a formare un glomere, ovvero una sorta di palla che serve a mantenere il calore interno intorno ai 37 °C. Quando la temperatura lo consente il glomere si allarga e le api vanno a mangiare per poi ritornare a costituire la massa che è tanto più compatta quanto più basse sono le temperature esterne.

Cosa si fa

Si continua a controllare che le famiglie abbiano sufficienti scorte.
Si fa una seconda profilassi contro la varroa.

L’attività si sposta all’interno del magazzino ove si prepara e si manutiene l’attrezzatura per la stagione successiva.


UN PO’ DI NUMERI

1

l’ape regina all’interno dell’alveare ne è presente sempre e soltanto una. Quando sta per nascere la nuova regina, generalmente fine aprile, la vecchia esce con metà della popolazione e va a costituire una nuova famiglia.

la puntura che una ape può fare. La particolare conformazione del pungiglione rende impossibile l’estrazione dello stesso dalla pelle del predatore. Il pungiglione rimane quindi attaccato al predatore con tutte le ghiandole velenifere ed alcuni fasci muscolari che continuano a pompare veleno all’interno dell’animale punto. L’ape regina ha il pungiglione ma lo usa soltanto per uccidere altre regine. I fuchi non hanno pungiglione.

3

gli anni di vita media di una regina. La vita di una regina può arrivare a 5 anni.

le caste di api: Ape Regina, Ape Operaia e Fuco. Le operaie possono poi essere: Spazzine, nutrici, raccoglitrici, ceraiole/architette, guardiane a seconda delle necessità e della età.

400

i Kg di miele che una famiglia consuma in un anno per vivere, oltre ad alcune decine di Kg di polline.

1,5

i Km a cui si spinge un’ape per cercare nutrimento. Corrispondono a circa 700 Ettari (7 Km2) ma possono arrivare
fino a 3 Km di distanza che corrispondono a circa 2.800 Ha (28 Km2) pari 3.900 campi da calcio.

2

miliardi di scambi tra una famiglia di api e il suo ambiente circostante ogni anno

50 – 60.000

le api che compongono una famiglia, tutti figli della stessa madre ma di padri diversi. Svariate centinaia i fuchi che una famiglia alleva in un anno per favorire la diffusione del proprio patrimonio genetico.

14

circa i fuchi con cui si accoppia la regina, necessari per permettere di accumulare liquido spermatico sufficiente a fecondare milioni di uova.

Da 1.000 fino a 2.000

le uova che depone in un giorno la regina. Il peso delle uova è superiore al peso corporeo della regina. Nella fase di massima attività la regina mangia pappa reale fino ad 80 volte al giorno il suo peso e non ingrassa!

40 – 50

giorni la vita media di una operaia in estate. Le api che nascono in settembre vivono generalmente fino a marzo.

60.000

il numero dei voli andata e ritorno dall’arnia ai fiori necessari per produrre un chilo di miele.

150.000

i chilometri che una singola ape dovrebbe volare per produrre un chilo di miele. Oltre 3 volte il giro del mondo.

225.000

il numero dei fiori che le api di un alveare possono visitare in un giorno.

24

Km/h è la velocità media del volo dell’ape. L’operaia raggiunge la fonte nettarifera in 2 o 3 minuti.

0%

il polline portato da una specie di fiore all’altro. Se una operaia inizia a raccogliere su un tipo di fiore concluderà sempre sullo stesso tipo riducendo a zero la possibilità che i pollini possano arrivare su fiori incompatibili.

La maggior parte delle piante di terra ferma necessitano dell’intervento di un animale affinché la fecondazione, e quindi la produzione del seme, possa avvenire.

Anche se l’alimentazione umana è basata prevalentemente sull’utilizzo dei cereali, che generalmente non necessitano di interventi esterni per la produzione dei semi, gli insetti intervengono e migliorano la produzione di frutta e verdura. Basta pensare a mele, pere e albicocche, zucchine e carote, melanzane patate e pomodori, legumi in genere anche per alimentazione animale, cocomeri e meloni, ciliegie e fragole… l’elenco è lunghissimo per non parlare di piante con valenza industriale come la colza o il girasole. Pensiamo quindi a cosa mangeremmo se gli insetti pronubi scomparissero dalla faccia della terra. Forse l’uomo non scomparirebbe dalla terra, ma mangerebbe soltanto pane, pasta, riso ed alghe…

Sono una ventina le specie di apis mellifica di cui la ligustica spinola è quella più diffusa originaria del territorio italiano, apprezzata in tutto il mondo per la sua elevata produttività e docilità, ma gli insetti di genere apis sono oltre 400.

Per questo motivo l’uso indiscriminato di insetticidi mette a repentaglio la vita stessa sulla terraferma. Le piante acquatiche infatti non possono essere impollinate dalle api per ovvi motivi. L’ape è particolarmente sensibile all’inquinamento di origine antropica, per questo è spesso utilizzata come sentinella ambientale. Analizzando la cera si possono trovare molte delle sostanze disperse nell’ambiente ed ottenere così uno spaccato della salubrità dell’area in cui si allevano le api.

4. I RITMI DELLA VITE

Gennaio – Febbraio

Cosa si vede

Le piante, apparentemente secche, presentano gemme invernali a punta. Le gemme ed il legno sono disidratate.

Cosa non si vede

La linfa particolarmente densa ha un basso punto di congelamento per difendere la vita della pianta con temperature fino a 8-10 gradi sotto lo zero. Le piante sono in stato di quiescenza ed assorbono pochissima acqua.

Cosa si fa

Essendo il consumo energetico della pianta ridotto al minimo, il momento è ideale per la potatura.
La potatura invernale è fondamentale per dare equilibrio alle piante, stimolare la ripresa primaverile e bilanciare la produttività ed il vigore vegetativo

Marzo – Aprile

Cosa si vede

Le gemme cominciano ad ingrossare e le perule (foglie modificate per proteggere le gemme dal freddo) cadono. Il taglio di potatura comincia a “piangere” ovvero la linfa che comincia a diluirsi affluisce verso i tagli e ne fuoriesce abbondantemente. Sulle gemme si comincia a vedere della peluria chiara. La gemma non è più dormiente ma cotonosa e nel giro di pochi giorni mostrerà una punta verde.

Cosa non si vede

La moltiplicazione cellulare è accelerata al massimo. La temperatura dell’aria e l’allungamento del fotoperiodo segnalano alla pianta che è ora di svegliarsi. La pianta tende a consumare le sostanze di riserva accumulate nella stagione passata all’interno del legno, perché il terreno ancora freddo rende difficoltoso l’assorbimento dei sali disciolti nella soluzione circolante.

Cosa si fa

Si legano i prolungamenti ed i rinnovi al filo di banchina

Maggio

Cosa si vede

Il germoglio si allunga rapidamente e le foglie di distendono. Si vedono i piccoli abbozzi di grappoli, che si preparano per la fioritura. I fiori abbozzati all’interno del grappolo si stanno preparando a uscire dal bocciolo (bottone fiorale)

Cosa non si vede

La moltiplicazione cellulare continua a velocità vertiginosa. Si producono 2 o più foglie a settimana che si distendono e si allargano.
Le foglie basali cominciano la loro attività fotosintetica e stimolano quindi la pianta ad allungarsi e a produrre altre foglie. Le gemme abbozzate all’ascella delle foglie cominciano a differenziare i frutti al loro interno, frutti che vedranno la luce soltanto il prossimo anno.

Cosa si fa

Inizia la difesa fitosanitaria. In questa fase la giovane vegetazione è particolarmente sensibile al fungo della Peronospora (Plasmospora viticola). Si selezionano i germogli migliori che porteranno il grappolo a maturazione. Si eliminano tutti quelli in eccesso in modo che la pianta si possa concentrare su quelli scelti. Con questa operazione si comincia a preparare la parete vegetale in modo che possa crescere in equilibrio e ben aerata per ridurre la formazione di microclima favorevole allo sviluppo dei patogeni.

Giugno

Cosa si vede

I primi giorni di giugno si può assistere all’apertura dei bottoni fiorali. L’infiorescenza è una pannocchia dapprima eretta e poi pendula.

La fioritura si protrae per circa una settimana.
Intanto il tralcio erbaceo continua ad allungarsi e sta superando il primo filo. Terminata la fase di fioritura si ha l’allegagione. Le piccole bacche cominciano cioè a prendere forma.

Cosa non si vede

I fiori sono primariamente bisessuati ma possono essere anche maschili o femminili. La fecondazione è generalmente incrociata sebbene i fiori ermafroditi possano essere anche autofecondi.

In condizioni favorevoli di temperatura e umidità i fiori si fecondano e dal gineceo comincia a svilupparsi la bacca.

Cosa si fa

Si indirizzano i tralci verso i fili più alti e si continua a togliere la vegetazione in eccesso (gemme tardive e femminelle)

La vegetazione ed in particolare i grappoli sono particolarmente sensibili al fungo della peronospora, occorre quindi prestare la massima attenzione alle condizioni metereologiche che possono favorire lo sviluppo del patogeno.

Luglio

Cosa si vede

La vegetazione è ormai arrivata oltre il filo più alto. Lo sviluppo delle bacche porta all’ingrossamento dell’acino fino alla chiusura del grappolo intorno al 10/15 del mese. Successivamente i vinaccioli cambiano colore e, a fine mese, è possibile osservare qualche chicco che comincia a cambiare colore virando dal verde al rosa e poi rosso.

Cosa non si vede

La fotosintesi clorofilliana produce energia e sostanze zuccherine che servono a far crescere i grappoli. Comincia la fase di accumulo di zuccheri e sostanze nutritive all’interno degli organi legnosi. Tali sostanze erano infatti state consumate per favorire la ripresa vegetativa.

Cosa si fa

Si taglia la vegetazione che eccede sopra il filo più alto (cimatura) favorendo l’accumulo di sostanze nutritive nel grappolo e nel legno. Occorre mantenere la parete ben aerata per limitare la diffusioni di patogeni che amano ambienti caldi ed umidi come la Muffa grigia (Botritis Cinerea) o la Peronospora.

Continua la difesa contro i patogeni. In queste fasi la vegetazione è sensibile al fungo dell’Oidio (Uncinula Necator) ed è necessario anche monitorare le varie generazioni di Tignola (Lobesia Botrana), una piccola farfalla notturna che depone le uova sui chicchi e le larve si nutrono poi del loro contenuto.

Agosto

Cosa si vede

Verso la metà del mese le bacche cessano di accrescersi e completano il processo di invaiatura, virano cioè il colore dal verde al rosa e quindi al rosso.

I tralci lignificano e l’accrescimento degli apici si interrompe. Questa fase è detta appunto di “Agostamento”.

Cosa non si vede

L’accumulo di zuccheri, fenoli e antociani diventa sempre più importante. Le foglie mature non rimosse durante le varie fasi di pulizia del verde sono dei laboratori chimici che trasformano anidride carbonica ed acqua in zucchero, sali minerali in sostanze colorate e profumate. Il tutto con l’energia fornita dalla radiazione solare.

Cosa si fa

Si mantiene il terreno lavorato preparandolo per la semina dei sovesci.
Le piante non sono più suscettibili ai patogeni fungini e quindi si interrompe la difesa fitosanitaria. Occorre ancora monitorare l’ultima generazione di Tignola che avviene generalmente intorno alla metà del mese.
Si tolgono i grappoli in eccesso e si ridimensionano quelli troppo grandi, in modo da mettere le piante in condizione di portare i frutti ad una maturazione ottimale.

Settembre

Cosa si vede

La fase di maturazione si verifica assaggiando i chicchi che diventano sempre più dolci.

Cosa non si vede

Le piante accumulano zuccheri, sostanze aromatiche ed antiossidanti all’interno dei grappoli. I vinaccioli assumono una colorazione che dal nocciola tende al marrone scuro. Circa 120 giorni dopo l’inizio della fioritura i grappoli sono pronti per essere raccolti.

Cosa si fa

Si controlla la maturazione delle bacche con ripetuti assaggi in vigna ed analisi di laboratorio.

Ottobre

Cosa si vede

I grappoli raggiungono la piena maturità che si può apprezzare assaggiandoli in vigna. La quantità di zucchero raggiunge circa il 22% del mosto liquido.

Cosa non si vede

Le piante continuano ad accumulare sostanze di riserva sia nei grappoli che negli altri organi. Le foglie ancora verdi continuano infatti a sintetizzare zuccheri ed altri composti che serviranno alla ripresa primaverile.

Cosa si fa

I grappoli maturi sono raccolti e portati in cantina per la vinificazione.
Il terreno viene preparato e seminato con essenze da sovescio scelte per migliorarne la fertilità.
Si concima con compost e letame. La concimazione autunnale rende le sostanze nutritive in parte subito disponibili ed in parte pronte alla ripresa primaverile.

Novembre – Dicembre

Cosa si vede

Le piante si preparano al riposo invernale. Le foglie perdono la clorofilla e cambiano colore che a seconda della varietà può andare dal giallo chiaro al rosso scuro.

Cosa non si vede

Le temperature medie che si abbassano ed il fotoperiodo che si accorcia, dicono alle piante che l’inverno sta arrivando.

Le viti perdono le foglie e disidratano la linfa preparandosi al riposo invernale.

Cosa si fa

L’attività si sposta in cantina. All’esterno si fanno le manutenzioni e le regimazioni idriche che preparano il terreno alle piogge invernali.

4. I CHIARI DELLA VAL DI CHIANA

Non è possibile vedere campi più belli; non vi ha una gola di terreno la quale non sia lavorata alla perfezione, preparata alla seminazione. Il formento vi cresce rigoglioso, e sembra rinvenire in questi terreni tutte le condizioni che si richieggono a farlo prosperare. Nel secondo anno seminano fave per i cavalli, imperocché qui non cresce avena. Seminano pure lupini, i quali ora sono già verdi, e portano i loro frutti nel mese di marzo. Il lino pure è già seminato; nella terra tutto l’inverno, ed il freddo, il gelo lo rendono più tenace.

Johann Wolfgang von Goethe
Viaggio in Italia, 1813-1817

L’OCCHIO DI LEONARDO

Per la descrizione di quest’Opera, dobbiamo per prima cosa introdurre il concetto di Realtà Aumentata, ovvero una realtà così percepita sensorialmente e intellettualmente dall’individuo, arricchita di dati in formato digitale. In sostanza un potenziamento delle possibilità fornite dai cinque sensi e dall’intelletto tramite dispositivi elettronici.

Partendo dal concetto di questa tecnologia, unita alla mappa disegnata da Leonardo da Vinci a cavallo fra il 1502 e il 1503 è nata l’Installazione “L’occhio di Leonardo”.
Esigenza fondamentale per la fruizione popolare di dati e concetti, è la semplificazione dei mezzi a disposizione. Scopo dell’installazione è quello di eliminare parzialmente la tecnologia e tornare a quella realtà territoriale millecinquecentesca, facendo coincidere elementi del passato con elementi morfologici contemporanei.

L’Opera, realizzata su vetro, rappresenta il paesaggio della Val di Chiana al tempo della famosa mappa disegnata da Leonardo da Vinci, quando nella Valle erano presenti i “Chiari”, ovvero ampi specchi d’acqua che, con i loro riflessi bianchi di luce, si scorgevano all’orizzonte.
Uno in particolare è di nostro interesse, ovvero quello posizionato a fondo valle, centro dell’immagine dove incontra il fiume Salco, fiume che attraversa l’Azienda Vinicola Salcheto. L’immagine è volutamente incompleta, così da bilanciare elementi reali ed elementi disegnati, andando a creare, in un dialogo continuo fra soggetto in primo piano e sfondo paesaggistico, una sorta di antica mappa.

Dal punto di vista di chi osserva, l’immagine dipinta su vetro (indietreggiando di circa quattro o cinque passi dalla stessa) si sovrappone al territorio reale, con le sue colline e il suo orizzonte, svelando il percorso del fiume attualmente nascosto dalla vegetazione e il lago, oggi bonificato, proiettando lo spettatore in una vista dei ”I Chiari della Val di Chiana” del 1500.

Naturalmente l’Opera è una struttura interattiva con il quale lo spettatore deve giocare e trovare la giusta sovrapposizione individuando alcuni elementi chiave che daranno modo di sovrapporre le due vedute più rapidamente.Una volta trovata la sovrapposizione, la vegetazione attuale si andrà a fondere con le linee dello scorcio disegnato e l’Opera sarà completa.


UN PO’ DI STORIA

Il territorio pianeggiante che vediamo a valle del colle di Montepulciano è la Val di Chiana, un’area di 1.272 chilometri quadrati, situata ai limiti orientali del Senese e del Chianti. È un esempio di grande conca tettonica, formatasi in seguito ai movimenti che diedero origine alle catene a pieghe e sovrascorrimento dell’Appennino.

Milioni di anni fa buona parte dell’Italia era coperta da un caldo mare tropicale, dove nuotavano squali, balene, delfini e pesci di ogni tipo. Quell’antico mare era costellato d’isolette coperte da una lussureggiante vegetazione e nei suoi fondali vivevano molte specie acquatiche che oggi troviamo nell’oceano indopacifico. Quel tempo lontano si chiama Zancleano, in altre parole il Pliocene Inferiore (dai 5,3 ai 3,6 milioni di anni fa). Ancora oggi, si recuperano sporadicamente i fossili degli animali che abitavano i fondali di quell’antico mare; i sedimenti risalenti a quel periodo emergono anche in questi luoghi del basso senese.

Questo era in origine la Val di Chiana: un vasto lago che a poco a poco è stato colmato dalle alluvioni dei fiumi provenienti dai rilievi circostanti.

Al tempo degli Etruschi e dei Romani, divenne una regione fertile e popolata solcata dal fiume Chiana, che defluiva verso il Tevere. La lussureggiante valle coltivata dagli Etruschi, fu arricchita dai Romani con opere fluviali e stradali come la via di navigazione sul fiume Clanis (Chiana) verso Roma e la strada consolare Cassia Vetus, di antica origine, realizzata da un magistrato di difficile individuazione, forse Quinto Cassio Longino console nel 164 a.C. In epoca imperiale, ad opera dell’imperatore Adriano nel 123 d.C., la via Cassia, che da Roma si dirigeva verso Arezzo, fu diramata presso la statio Ad Novas (collocabile in località Fontegrande, ad Acquaviva) con un secondo troncone che conduceva verso Firenze. I tracciati minori che probabilmente ricalcavano i percorsi viari più antichi, distaccandosi dalla via principale, collegavano i centri minori. La viabilità dell’epoca romana, fondata verosimilmente su una precedente rete viaria usata già in epoca etrusca, restò in uso per secoli.

La strada e i suoi diverticoli furono persi nel 1055 quando Orvieto, alleata di Firenze, per combattere le città di Siena e Perugia decise di costruire uno sbarramento murario alto circa venti metri sul fiume Clanis (Chiana) a Carnaiola (Fabro Scalo); in questa località ne sono

Chiana: il Clanis, infatti, non potendo più scaricare le proprie acque nel fiume Paglia, finì per ancora visibili i resti, che in seguito avrebbero preso il nome, di “Muro grosso”. L’opera arrecò inevitabili danni alla Val di rompere gli argini, dando luogo in poco tempo ad una sorta di lago. L’acqua, che non poteva più defluire, stagnò su vaste aree chianine, che a breve si tramutarono in un malsano acquitrino.

La grande palude che si formò rese così insalubre la Valdichiana che Dante, sommo poeta, in una citazione così scrisse: “Quivi son volti lividi e confusi. Perché l’aere e la Chiana li nimica…”.

La bonifica delle zone palustri iniziò attorno al 1300 con l’apertura di un canale di comunicazione con l’Arno, a nord, dando così inizio al fenomeno dell’inversione della Chiana. Verso la fine del secolo XIV, Firenze impose la prosecuzione dello scavo del canale maestro.

Fra il 1502 ed il 1503, Leonardo da Vinci fu incaricato di redigere una mappa della Val di Chiana, in cui originale è confluito dal 1690 nel Royal Collection di Windsor, nel Regno Unito. Una mappa accuratamente rifinita, centrata sul lungo lago che un tempo occupava la Valdichiana. Il nord è a sinistra, il Tevere corre lungo il bordo superiore, e l’ansa meridionale dell’Arno è al centro sinistra.

In quel periodo Leonardo era al servizio di Cesare Borgia e, sebbene lo scopo della mappa non sia esplicitato, è evidente che i laghi e le vie d’acqua sono chiaramente al centro dell’attenzione. Si ritine pertanto che la mappa sia stata realizzato in connessione con un piano di drenaggio della palude malarica della Valdichiana, un progetto che impegnò i fiorentini per diversi secoli.

La Valdichiana rappresenta il fulcro di un progetto di Leonardo che intendeva canalizzare l’Arno sbarrando il deflusso settentrionale ed utilizzare le chiuse per controllare il drenaggio del lago nell’Arno (come descritto dallo stesso Leonardo nel Codice Atlantico f. 46v-a). In questo modo sarebbe stato possibile regolarizzare il livello dell’Arno, soggetto a forti variazioni stagionali, che compromettevano la navigazione del fiume. Leonardo realizzò la mappa della zona a volo d’uccello, con una prospettiva dall’alto, come se stesse sorvolando le zone.

Leonardo da Vinci 1502-1503 ca.

Carta RL 12278 – Royal Collection Trust – Castello di Windsor, UK
Carboncino, inchiostro, lavaggio di colore
33.8 x 48.8 cm

Nel 1572 Ferdinando I de Medici, Granduca di Toscana, perseguiva ancora l’intento di bonifica della Val di Chiana, considerato “granaio copiosissimo”. Nel 1780 lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana concordarono la costruzione dell’argine di separazione delle acque tra la Chiana Romana e la Chiana Toscana. La direzione dei lavori di Vittorio Fossombroni e Alessandro Manetti, nei primi decenni dell’Ottocento, perfezionarono le operazioni di bonifica, che portarono alla totale rinascita della valle fatti salvi i laghi di Montepulciano e di Chiusi.

La rappresentazione di Montepulciano e della Valdichiana nella Carta geotermica della Toscana di Giovanni Inghirami del 1830.

Carta geometrica della Toscana ricavata dal vero nella proporzione di 1 a 200.000 e dedicata a S. A. I. e R. Leopoldo II , Principe Imperiale d’Austria, Principe Reale d’Ungheria e di Boemia, Arciduca d’Austria, granduca di Toscana etc. etc. dal suo ossequiosissimo servo e suddito Giovanni Inghirami delle Scuole Pie, Firenze 1830

L’asciugamento dei terreni impaludati prevedeva il drenaggio e la canalizzazione delle acque verso il Canale Maestro e, nonostante le risorse economiche impiegate nei vari secoli, fu solo con i Lorena, tra ‘700 e ‘800, che la bonifica della Val di Chiana fu risolutivamente avviata in modo considerevole e mirato. Nel 1788, Pietro Leopoldo nominò Sovrintendente generale Vittorio Fossombroni. Questo presentò un progetto che prevedeva di bonificare tutta la vallata: innalzando i terreni nella zona di Chiusi grazie ad imponenti colmate, che secondo i suoi calcoli avrebbero invertito la pendenza della valle in direzione dell’Arno.

Questo progetto, detto la “gran colmata”, rispetto a quelli antecedenti, avrebbe alterato le particolarità ambientali del territorio. Ma per mettere in pratica il progetto, Fossombroni chiese la collaborazione di Alessandro Manetti, un esperto di idraulica che, alcuni anni dopo, gli subentrò nella gestione delle opere di bonifica della valle. Il Manetti elaborò un diverso approccio nella bonifica; preferì non utilizzare in modo eccessivo le colmate.

Per far scorrere le acque verso l’Arno si diede inizio a una diminuzione del livello della Chiusa dei Monaci e s’ingrandì il Canale Maestro, s’incanalarono alcuni torrenti e si misero in ordine i canali.

Le operazioni di bonifica continuarono anche dopo la formazione del Regno d’Italia. All’inizio del XXI secolo, come prosecuzione della bonifica, vi era l’intento di prosciugare anche i restanti chiari di Chiusi e Montepulciano: ma per buona sorte il progetto non fu realizzato.

La sopravvivenza dell’ecosistema costituito da questi due laghi è resa problematica dalle profonde trasformazioni antropiche, fondiarie ed idrauliche che hanno pesantemente condizionato lo sviluppo dell’area. La Val di Chiana nella sua attuale configurazione è, infatti, il frutto di una continua opera di regimazione idrica e di sistemazione del territorio volta alla sua bonifica integrale. Il Lago o Chiaro di Montepulciano (come lo chiamano i locali), costituisce un esempio piuttosto raro di ambiente lacustre ancora non seriemente compromesso, caratterizzato da specie animali e vegetali proprie o comunque rare, un ambiente unico e prezioso in cui la biodiversità vegetale ed animale è diventato un valore da conservare.


L’AMBIENTE

Nel rispetto e dalla necessità di preservare la biodiversità è nata l’Oasi del Lago di Montepulciano e la Riserva naturale della provincia di Siena.

L’Oasi è situata nella parte meridionale del lago di Chiusi, include la parte che dal punto di vista naturalistico è la più interessante; la zona delle acque basse, è ricca di piante acquatiche, rare, come il nannufero (Nuphar letuum), la castagna d’acqua (Trapa natans) l’utricolaria (Utricularia vulgaris), la Vallisneria spiralis e la bellissima ninfea bianca (Nymphaea alba). E da un bosco igrofilo a salici e pioppi che ospita una delle garzaie, (il termine garzaia indica il luogo in cui nidificano collettivamente diverse specie di aironi [fam. Ardeidae] con abitudini coloniali), tra i più importanti dell’Italia centrale, con un’ampiezza complessiva di 8 ettari.

Una buona parte dell’Oasi è occupata dal bosco ripariale, (ovvero da quella fascia di vegetazione che si trova ai margini di un corso d’acqua, pur non costituendo ambiente bagnato), composto da salici e pioppi, dove è molto diffuso anche il salice cinereo, dal portamento cespuglioso.